Un'altra volta, parlando con degli indiani di Mumbai, è saltato fuori che il nostro “mangia” di io mangio tu mangi egli... a loro suona esattamente come “il tratto di corda che lega l'aquilone al bandolo con cui lo si porta in giro”.
In questo genere di parole “itineranti” si potrebbero forse inserire i cognomi, che nascondono al viaggiatore insidie fino al giorno prima insospettabili e da cui non potrà più liberarsi completamente nemmeno fuggendo lontano. Anche al Polo Sud infatti, in un angolino della sua mente gli resterà per sempre il pensiero: Oh mio Dio! Io.. quella cosa là?! E sicuramente i toponimi: al largo della Scozia siamo passati accanto a due isolette che si chiamano Luce e Barra. Oltre ad altre due che di nome fanno Canna e Rhum.
Infine, un occhio di riguardo merita il ramo delle parole “apolidi”, quelle che non appartengono a nessuna lingua in particolare, ma che vengono comprese dappertutto. Ancora un esempio? Ciop-ciop.
NiccoloD.
Penso al linguaggio di Gianni Rodari o alle parole inventate di Fosco Maraini. E a quelle parole che ci piacciono per il loro suono. E ai termini "apolidi" per eccellenza: le onomatopee: ring, bum, sniff...
ReplyDeleteCiao.
Dietro ad ogni parola c'è un mondo, una valigia di esperienze che cambiano a seconda del proprietario. Questo ambito mi affascina sempre di più...tutta colpa dell'esame di psicologia della comunicazione!:D
ReplyDeleteGiulia