A Vladivostok
fa talmente freddo che al mercato vendono la carne in fettine sciolte, senza
confezione, disposta come arance in cassette di legno o di cartone. Si sceglie
il taglio appropriato, quello che si preferisce, frugando con la mano tra le
fette rosse intarsiate di lardo, dure come pietre e che rimescolandosi fanno
rumore come grossi pezzi di lego. Lo stesso avviene per il pesce, disposto in
cumuli piramidali dai tanti occhietti fissi, giallini, e dalle pinne caudali
ritorte e irrigidite.
Tra queste e altre mercanzie e tanti vasetti di caviale,
la signora di Vladivostok, foulard annodato sotto il mento, si aggira tra le
bancarelle di una bella giornata di marzo valutando silenziosa cosa porterà sul
piatto.
Subito dopo il
porto, il centro si presenta con un grande monumento alla Rivoluzione ai piedi
di una strada dritta, affollata dai passanti e auto con la guida a destra,
benché il senso di marcia non sia alla britannica. Sono infatti macchine usate
importate dal Giappone quelle che in maggioranza vanno su e giù per le vie di
questa città costruita su basse colline che mi restituiscono il profilo reale,
modesto, di un toponimo dal suono severo. I russi e gli ucraini che sono a
bordo con me, sbarcano curiosi anche loro di vedere questo lontano avamposto a
oltre due settimane di ferrovia da Mosca. Da qualche palazzo costruito tra otto
e novecento, dal ferro e molta edilizia popolare, si attendono una città
collocata oltre la portata delle attenzioni da parte dell'amministrazione
centrale, ma ne tornano quasi soddisfatti, stupiti dal carattere amichevole
degli abitanti. Stanislav si confida: “Devo dire la verità, pensavo peggio”.
la baia ghiacciata |
Verso nord colline brulle si ergono dal pack immacolato, inaspettato.
Nicco.
No comments:
Post a Comment