È una gelida mattina d’autunno su tutto il Mar Nero e il vento sempre più forte comincia a montare le onde proprio mentre la nave discende verso il Bosforo, anche se una volta giunti nello stretto il mare si placa nuovamente e la costa ci accoglie con un abbraccio notturno dai mille occhi di lampade accese.
Alle sei è ancora scuro e lungo le sponde si leva il canto salmodiante della preghiera del mattino accompagnato dai suoni metallici dell'altoparlante e da uno strumento che non conosco. Se si esce sull’aletta non è raro accorgersi dell'arrivo in un nuovo porto dal cambiamento degli odori, ma la bassa temperatura oggi ostacola questo primo presentarsi della città, soffocando l'odore che la terra suda ed emana a miglia di distanza, pur potendo ancora riconoscervi una nota di amaro che ricorda l’ultimo sorso di una tazza di tè.
Si fa giorno e la nave è ormai all’ormeggio davanti alla cittadella di Galata, una collinetta affollata di gente e di palazzi, sormontata da una torre cilindrica col tetto a punta che costruirono i Genovesi secoli fa.
Dall’altra parte del canale, oltre due grandi moschee, si alza in volo un immenso stormo di anatre selvatiche che a strisce nere coprono il cielo di Istanbul per qualche minuto. Non avevo mai visto uno stormo così grande, centinaia e centinaia di anatre disposte in fila lunghissime e ordinate, separate dallo stesso settore di cielo. Ogni striscia è tracciata da tanti puntini concentrati verso la stessa direzione che scemano velocemente all'orizzonte tra i sottili minareti.
Queste anatre improvvise m'hanno messo allegria e forse ispirazione, così chiedo il permesso di uscire per andare a scattare qualche foto. In strada, dopo un attimo di agitazione dovuto al comportamento anomalo della mia macchina fotografica, comincio a fare fotografie a casaccio. Il piccolo schermo a cristalli liquidi non mostra alcuna differenza di luce cambiando l’ampiezza del diaframma, una cosa che mi turba, ben sapendo che qualche decennio fa era a questo modo -senza essere certi della luminosità sino all'ultima fase di sviluppo- che si facevano le fotografie. Dopo un'oretta, tra le calli e i mattoni di Karaköy, un tempo Galata, tutto ritorna come prima senza aver toccato alcun tasto in particolare. Misteri della tecnologia.
Niccolò Doberdob
...e le foto sono riuscite benissimo!
ReplyDeleteComplimenti per il post e le foto!
ReplyDeleteRicevere commenti fa sempre un gran piacere.
ReplyDeleteGrazie!