Esiste una tendenza tra la gente di potere e in buona parte anche tra chi pensa di detenerne una briciola, che può dare molto a pensare. Si tratta di una particolare inclinazione, diventata lampante nel corso dell’ultima campagna pro-nucleare, all’accettazione del rischio.
Rischio tanto più attraente quando riguardi non una situazione individuale e specifica, ma il destino di una generica collettività e per periodi non determinati, ma che si protraggono indefinitamente nel tempo.
Verrebbe da credere che ciò sia dovuto alla mancata realizzazione delle conseguenze personali, giuridiche e non, nel caso in cui tale rischio diventi un pericolo fondato e, allo stesso momento, all’opportunità di partecipare agli utili qualora si riveli un buon investimento. Troppo lontane nello spazio e nel tempo appaiono gli eventuali danni, benché possano dirsi irreparabili, al punto di arrivare a situazioni paradossali.
Da settimane, ad esempio, in un raggio di oltre 50 Km attorno alla centrale di Fukushima i bambini delle scuole elementari hanno cominciato a perdere sangue dal naso. Disgraziatamente, ciò è dovuto alla notevole esposizione all’irraggiamento che si è propagato dalla centrale che, come già appurato in altri casi, provoca l’abbassamento dei globuli bianchi. Nondimeno, in molti hanno tentato di dare a questo tristissimo evento altre improbabili cause e in numero ancora maggiore sono stati quelli che hanno ignorato questa notizia.
Altre volte però, succede di assistere alla difesa ostinata del “rischio” anche da parte di persone che sembrano aver poco da guadagnare dallo sviluppo delle idee di progresso di cui decantano le ragioni. Ho assistito ad un’intervista al giornalista del Corriere Oscar Giannino a Ballarò, sempre in occasione del referendum, in cui questi esaltava una concezione di modernità secondo cui è ben tristo l’uomo che si piega ai limiti imposti dalla natura, sino al rendersi un codardo se decida di non accettarne la potenzialità negativa.
Purtroppo, nessuno ha fatto notare a Giannino che il termine stesso di modernità ha smesso da decenni di delineare ciò che avverrà ed è diventato obsoleto come gli entusiasmi di cui vibravano le sue parole. Neanche lo sfiorava che il futuro a cui ci si possa ispirare oggi, cerchi finalmente un dialogo con l’ambiente ottimizzandone le ricchezze ed evitando gli errori già commessi. E questo senza farsi accompagnare dall’angoscia che, da un momento all’altro, possa accadere nuovamente un disastro tale da mettere a repentaglio la qualità genetica della vita per ampie porzioni di territorio, lungo il corso di centinaia e centinaia di anni.
In realtà, il distacco citato in precedenza, quello dal caso specifico e individuale, credo possa innescare gli stessi meccanismi del gioco ed essere in grado di coinvolgere chi, in qualche modo, si senta di assistervi in prima persona. Intendo in particolare il gioco d’azzardo, in cui, quando la posta non sia legata all’integrità fisica di chi sia attorno al tavolo verde, c’è lo spazio per dare adito ad ambigue soddisfazioni.
Così, citando un altro grave episodio, per vincere una determinata somma di denaro, i dirigenti della Thyssen di Torino decisero nel 2007 di risparmiare sulla sicurezza in fabbrica, a fronte di un suo successivo trasferimento. Hanno cioè effettivamente scommesso che nel lasso di tempo tra la chiusura dell’impianto e l’apertura di un altro, nell’acciaieria di corso Regina Margherita, non si sarebbe propagato nessun incendio. Un ragionamento che ha poco di lucido se si pensa a quante occasioni abbiano le fiamme di svilupparsi dalle temperature e dalle scintille presenti nella lavorazione dell’acciaio, eppure ciò ha portato sino al mancata sostituzione di semplici estintori ormai scarichi.
Ricordo che le vittime furono sette, ma ogni giorno in scala più ridotta, così da non guadagnarsi un posto sul giornale, si ripete lo stesso tipo di scelta.
Altre volte però, la scala degli avvenimenti è molto più grande se non addirittura gigantesca, al punto che, a delinearne i tratti fondamentali, sembri di peccare di semplicismo.
Si prenda l’ultima crisi economica del 2008, che ancora riguarda da vicino le economie europee e non solo. Le banche che fecero il mutuo, i subprime, alle classi meno agiate di cittadini americani intenzionati a comprarsi una casa, vollero assicurarsi contro la mancata restituzione del denaro. Ci furono così compagnie che accettarono questo rischio e lo subappaltarono ad altre compagnie, le quali lo diedero ad altre compagnie e così via per costituire una catena infinita, che aveva perso di vista l’effettivo valore del denaro e traeva ragion d’essere soltanto dal suo essere scommessa.
Il resto poi lo conosciamo, chi voleva mettersi concretamente al riparo sotto un tetto di sua proprietà, rimase nell’insolvenza.
ND.
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