Van Gogh voleva di tutto cuore che il
suo amico Gauguin lo raggiungesse nel Sud della Francia dove da
qualche tempo si era stabilito per studiare una natura che non gli
era familiare, pur tra molte ristrettezze. Ulivi, campi di grano e
cipressi brillavano alla luce di un sole mediterraneo a lui
ugualmente inusuale e di cui voleva condividere la scoperta dando
vita ad un sodalizio artistico.
E di questo suo desiderio c'è traccia
in molte sue lettere indirizzate sia al fratello Théo che allo
stesso pittore francese:
Caro Théo,
ho pensato a Gauguin: se Gauguin vuole venire qui, c'è da pensare al viaggio o a due letti o a due materassi, che in questo caso dobbiamo acquistare.Ma dopo, essendo Gauguin un tipo che si arrangia, è probabile che riusciamo a farci da mangiare a casa.E con la stessa somma che spendo per me , riusciremo a vivere in due.Sai che mi è sempre sembrato stupido che i pittori vivano soli ecc. Quando si è isolati si perde sempre. [...] *
* Vincent
Van Gogh, 150 lettere,
ed.
Linea d'Ombra 2011, p.263
Finalmente, un giorno di dicembre del
1888 Gauguin si recò nella cittadina provenzale di Arles.
Sciaguratamente però, sarà stata forse l'incompatibilità dei
caratteri, il suo soggiorno presso il pittore fiammingo si trasformò
in un periodo di nove settimane di fuoco e delirio in cui le due
grandi sensibilità riunite ed isolate sotto lo stesso tetto
arrivarono sino al fronteggiarsi con un rasoio. Lo stesso oggetto con
cui, dopo averne brandito la lama minacciosamente per aria, Van Gogh
mise in atto il famoso episodio ove, senza alcun motivo apparente, si
tagliò il lobo dell'orecchio sinistro. Con il sangue che gli
sgorgava copiosamente sul collo, avviluppò poi il pezzetto di carne
in dei fogli di giornale e corse al postribolo presso il quale
-quando le finanze glielo permettevano- era solito trovare sollievo,
per affidarlo alle mani di una prostituta non prima di assicurarsi
che venisse trattato con tutte le cure.
Quando Paul Gauguin vide Van Gogh
rincasare con la testa insanguinata, prese una paura tale da fargli
vacillare le fondamenta di un qualcosa che nell'anima sta tra
l'orgoglio, la comprensione e il coraggio. Fu probabilmente per
vincere i morsi di questo timore che, ritornato a Parigi qualche
giorno dopo, Gauguin volle assistere all'esecuzione in piazza di
Prado, vecchio proprietario del caffè degli artisti Le Tambourin,
condannato alla ghigliottina per omicidio.
Solo che anche l'esecuzione non andò
come doveva andare: la lama cadde di sbieco e in prima battuta mutilò
soltanto una parte del volto dell'uomo che con forza bestiale si
trasse nuovamente in piedi. Ci volle lo sforzo di parecchie guardie
per rimetterlo in posizione e permettere che lama fosse rilasciata
una seconda volta provocando infine la caduta della testa di Prado.
Non sappiamo se Gauguin, ritrovò ciò
che cercava, ma in seguito a questi avvenimenti scolpì la Brocca
a Forma di Testa, un autoritratto in porcellana del 1889
conservato al
Kunstindustrimuseet
di Copenhagen.
Un'opera che fonde lo stile giapponese
di pittura e lavorazione della ceramica invetriata con un concetto di
raffigurazione appartenente alla tradizione peruviana -ovvero
l'unione della forma umana e quella di un oggetto quotidiano- e non
lascia trasparire in fotografia, la forza macabra che è capace di
convogliare dal vivo.
Niccolò.
Niccolò.
Bel post, dove curiosità si mescolano a finezze artistiche! Chapeau!
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