La lingua è viva e le parole sono capaci di attraversare latitudini, tempo e culture con gran facilità e versatilità. Le riflessioni del post "Le parole apolidi " di Niccolò, mi hanno fatto pensare subito alla poesia di Amelia Rosselli, cui già da tempo volevo dedicare uno spazio sul blog.
Sebbene non sia strettamente necessario ai fini di questo post, spenderò un paio righe per presentare brevemente alcuni dati biografici. Nata nel 1930 a Parigi dove il padre, l'antifascista Carlo Rosselli, risiedeva come rifugiato politico; dopo l'assassinio del padre (ucciso assieme al fratello Nello nel 1937) comincia per Amelia una vita fatta di costanti spostamenti, una vita da apolide, appunto. Vive in Svizzera, negli Stati Uniti, in Inghilterra, compiendo studi di filosofia, letteratura e musica. Gli anni '50 e '60 sono anni italiani, durante i quali si consolida la sua fama di poetessa.
Sarà Pier Paolo Pasolini a scoprire – come si dice in questi casi – l'unicità della sua poesia e a permettere che ventiquattro dei suoi primi componimenti vengano pubblicati sulla rivista di letteratura Il Menabò, nel 1963. Parlo di unicità perché la poesia di Amelia è davvero impossibile da inquadrare all'interno dei movimenti poetici e letterari dell'epoca: anzi, personalmente trovo che classificazioni di questo tipo siano sempre difficili da fare. In questo caso è chiaro che non vale nemmeno la pena di fare un tentativo.
“La lingua in cui scrivo volta a volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica associativa è certamente quella di tutti i popoli, e riflettibile in tutte le lingue”, dichiara la stessa autrice.
La sua poesia è prima di tutto una ricerca di affinità sonore, più che di significati, e spesso trascura sintassi ed altre regole della lingua italiana. Di fatto, la lingua in sé diventa un'entità non più limitata, ma aperta. I confini tra idiomi svaniscono, le parole vengono smontate fino ad ottenerne solamente le componenti principali, vengono accostate per dar vita a singole immagini che si susseguono tra verso e verso, ed in certi casi vengono rimontate per ottenere un' armonia, un accordo. Lo scopo è quello di creare un linguaggio universale.
Così come vengono a mancare i confini tra lingue, cadono anche le divisioni tra pubblico e privato: dai suoi versi sprigionano riflessioni tanto intime quanto comuni, riguardanti la situazione storica contemporanea all'autrice. Una dimensione presentata per mezzo di versi che “sanno trasmetterci in modo lancinante la percezione della normalità dell'orrore, della quotidianità come dominio privilegiato del terribile”, come commenta Pier Vincenzo Mengaldo.
Pasolini definisce quella di Amelia una scrittura basata sul lapsus “inserito nella serie di borchie, di cui questa lingua – nata come fuori dal cervello, quasi proiezione fisica di un involucro spirituale razionalmente inesprimibile – ha bisogno di costellarsi, per presentarsi come prodotto culturale riconoscibile, leggibile. (…) certamente la Rosselli sa di fare esperimenti linguistici scoperti, in un laboratorio pubblico”.
Mi rendo conto di dilungarmi forse un po' troppo in citazioni altrui, che alle volte possono apparire noiose o di troppo, però confesso che al momento non saprei definire meglio l'unicità di Amelia Rosselli.
Sebbene apparentemente possa sembrare casuale, quindi, la scelta delle sue parole è in realtà calcolata fin nei minimi dettagli, in quanto esse formano parte di un più ampio sistema – il verso, la strofa, la lingua stessa – basato su esatte corrispondenze musicali, determinate quasi in maniera matematica. Questo lo si può evincere soprattutto con la lettura ad alta voce delle sue poesie, senza però dovere o volere a tutti i costi trovarci senso, significato, autenticità. “Cercatemi e fuoriuscite” esorta la Rosselli, che ancora afferma:
Io non sono quello che apparo – e nel bestiame
d'una bestiale giornata a
freddo chiamo
voi a recitare.
Attraverso una scrittura visionaria, frammentaria, ma per certi versi anche molto razionale la poetessa esprime una personalità complicata da uno stato psichico costantemente turbato, fragile e soggetto a depressioni, che la porterà infine al suicidio, nel 1996, nel suo appartamento romano.
Il video che vi propongo rappresenta a mio avviso una buona introduzione ad Amelia Rosselli, vale la pena di dedicarci 5 minuti di tempo.
Sara