Friday, 16 December 2011

Sindrome da ventunesimo secolo

Cari lettori,
oggi vi propongo una canzone del cantautore francese Georges Brassens; trovo che le sue parole siano – ahimè – molto vere e molto attuali. Non sarà un caso che proprio in questi giorni mi ritorni in mente!
É del 1972 e fa parte dell'album Fernande. Segnalo, per chi volesse approfondire un po' il testo, il sito Analyse Brassens (purtroppo solo in francese).

Buona lettura, buona visione e buon fine settimana!

Sara

Georges Brassens
La Ballade des gens qui son nés quelque part (1972)


C'est vrai qu'ils sont plaisants tous ces petits villages
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Tous ces bourgs, ces hameaux, ces lieux-dits, ces cités
Avec leurs châteaux forts, leurs églises, leurs plages
Ils n'ont qu'un seul point faible et c'est être habités
Et c'est être habités par des gens qui regardent
Le reste avec mépris du haut de leurs remparts
La race des chauvins, des porteurs de cocardes
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Maudits soient ces enfants de leur mère patrie

Empalés une fois pour toutes sur leur clocher
Qui vous montrent leurs tours leurs musées leur mairie
Vous font voir du pays natal jusqu'à loucher
Qu'ils sortent de Paris ou de Rome ou de Sète
Ou du diable vauvert ou bien de Zanzibar
Ou même de Montcuq il s'en flattent mazette
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Le sable dans lequel douillettes leurs autruches
Enfouissent la tête on trouve pas plus fin
Quand à l'air qu'ils emploient pour gonfler leurs baudruches
Leurs bulles de savon c'est du souffle divin
Et petit à petit les voilà qui se montent
Le cou jusqu'à penser que le crottin fait par
Leurs chevaux même en bois rend jaloux tout le monde
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

C'est pas un lieu commun celui de leur connaissance
Ils plaignent de tout cur les petits malchanceux
Les petits maladroits qui n'eurent pas la présence
La présence d'esprit de voir le jour chez eux
Quand sonne le tocsin sur leur bonheur précaire
Contre les étrangers tous plus ou moins barbares
Ils sortent de leur trou pour mourir à la guerre
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Mon dieu qu'il ferait bon sur la terre des hommes
Si on y rencontrait cette race incongrue
Cette race importune et qui partout foisonne
La race des gens du terroir des gens du cru
Que la vie serait belle en toutes circonstances
Si vous n'aviez tiré du néant tous ces jobards
Preuve peut-être bien de votre inexistence
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part



La ballata di quelli nati in qualche posto
(traduzione di Mario Mascioli e Nanni Svampa)

Sono davvero ameni tutti questi piccoli paesi,
tutti questi borghi, queste frazioni, queste località, queste città vecchie
con le loro roccaforti, le loro chiese, le loro spiagge;
hanno un solo punto debole, e cioè quello di essere abitati
e cioè di essere abitati da gente che guarda
tutto il resto con disprezzo dall'alto dei loro bastioni:
la razza degli sciovinisti, dei portatori di coccarde,
i beati imbecilli che son nati in qualche posto.

Siano maledetti questi figli della loro madrepatria,
impalati una volta per sempre sul loro campanile,
quelli che vi mostrano le loro torri, i loro musei, il loro municipio
vi fanno vedere il paese natio fino a farvi divenire strabici.
Che vengano da Parigi, da Roma o da Sète,
o da casa del diavolo oppure da Zanzibar,
o anche da Montcuq, se ne vantano, caspita,
i beati imbecilli che son nati in qualche posto.

Non c'è niente di più fine della sabbia
sotto la quale delicatamente i loro struzzi nascondono la testa.
Quanto all'aria che usano per gonfiare i loro palloni,
le loro bolle di sapone, è afflato divino.
E, piano piano, ecco che si montano
la testa fino a pensare che lo sterco fatto
dai loro cavalli, anche quelli di legno, susciti l'invidia di tutti,
i beati imbecilli che son nati in qualche posto.

Non è un luogo comune quello della loro nascita,
compatiscono con tutto il cuore i poveri disgraziati
i piccoli fessacchiotti che non ebbero la presenza,
la presenza di spirito di venire alla luce nel loro paese.
Quando suonano le campane a martello sulla loro precaria felicità,
per combattere gli stranieri, tutti più o meno barbari,
escono dal loro buco e vanno a morire in guerra,
i beati imbecilli che son nati in qualche posto.

Mio Dio, come si starebbe bene sulla terra degli uomini
se non vi si incontrasse questa razza di scorretti,
questa razza molesta e che abbonda dappertutto:
la razza della gente del suo paese d'origine, della gente del posto.
Come sarebbe bella la vita in ogni momento
se tu non avessi tratto dal nulla questi balordi,
che sono la prova, forse, della tua inesistenza:
i beati imbecilli che son nati in qualche posto.


Sunday, 11 December 2011

Quando il cinema non aveva bisogno di parole: Asta Nielsen



Il film sonoro è kitsch!

Il film sonoro è unilateralità!

Il film sonoro è un assassinio economico e spirituale!

Perciò: esigete il film muto e rifiutate il film sonoro!


É questo il messaggio del volantino indirizzato "Al pubblico", che risale con tutta probabilità all'inizio degli anni '30, quando i primi film sonori entrarono nelle sale cinematografiche europee, prendendo lentamente il posto del film muto. Come è noto, i primi film che venivano proiettati nelle sale erano accompagnati da musica, spesso suonata dal vivo da un'orchestra, ma erano assolutamente privi di “parlato”.

Ebbene, la rivoluzione del film sonoro da molti non venne accolta con favore: le potenzialità espressive delle immagini venivano penalizzate con l'introduzione dei dialoghi, la fantasia dello spettatore limitata. Il film diventava uno spettacolo unilaterale.
I talkies, così erano chiamati i nuovi film in America, persero un volto straordinario, quello dell'attrice danese Asta Nielsen. Un volto che, d'altro canto, poteva appartenere solamente al mondo del cinema muto. “Nemmeno il più grande scrittore, il più consumato artista della penna, sarebbe in grado di esprimere a parole ciò che Asta Nielsen trasmette coi primi piani del suo volto”*, commenta il critico cinematografico ungherese Béla Balázs nel suo saggio Theory of the Film (1949).



Asta nacque nel 1881 a Copenhagen e cominciò la sua carriera come attrice di teatro. Il debutto nel mondo del cinema risale al 1910 con il film Afgrunden (“L'abisso”) diretto da suo marito, il regista Peter Urban Gad. La loro unione artistica ed affettiva diede vita ad una trentina di film, nei quali Asta impersona i più diversi personaggi, femminili e maschili; è celebre, ad esempio, il rifacimento dell'Amleto (1921), in cui l'attrice veste i panni del principe danese.

Sarà in Germania, tuttavia, che la coppia troverà fortuna. Conosciuta qui semplicemente come “Die Asta”, l'attrice vide la sua fama crescere velocemente, sull'onda del successo di Afgrunden. Successo, ma anche scandalo; la scena della “gaucho-dance”, nella quale la protagonista intrappola al lazo il suo fidanzato ballando in modo sensuale e provocante attorno a lui, lasciò il pubblico dell'epoca a bocca aperta.



(Non stupitevi della parola “Slut” alla fine: quello che in inglese significa “sgualdrina”, significa in danese “fine”)

Successi e scandali andranno delineando la figura di Asta come seduttrice, come donna dal forte individualismo a dalla marcata personalità, come artista capace comunicare quasi esclusivamente attraverso la forte carica espressiva del suo volto. Un volto che compare in più di settanta film, girati tra il 1910 e il 1932, la maggior parte dei quali prodotti in Germania, e che fa di Asta una delle prime grandi stelle del cinema internazionale.

Nel 1925, in Die freudlose Gasse (“La via senza gioia”), al fianco di Asta Nielsen ci sarà anche Greta Garbo, altra grande attrice scandinava. Se però per quest'ultima l'avvento del film sonoro segnò un passo avanti nella sua carriera, per Asta esso significò la fine della sua esperienza cinematografica. La “diva silenziosa”, così era anche chiamata, si accorse subito che il linguaggio del suo volto non poteva essere adatto al nuovo medium e, dopo aver girato un unico talkie, abbandonò gli schermi per tornare a recitare nei teatri, dove aveva iniziato il suo percorso, nei primi anni del secolo. Pochi anni dopo la comparsa del film sonoro, nel 1936, Asta lasciò anche la Germania, dopo che Goebbels le offrì la possibilità di avere uno studio cinematografico personale, volendo evidentemente sfruttare in questo modo la grande fama dell'attrice per fini propagandistici.

Proprio in questi giorni, mentre stavo preparando questo post (che già da tempo intendevo pubblicare), esce nelle sale italiane The Artist, quest'anno presentato al Festival di Cannes; un film muto ed in bianco e nero in cui il regista, il francese Michel Hazanavicius, racconta proprio del passaggio al film sonoro. É la storia dell'incontro tra un divo del muto, che vede il suo successo tramontare con l'avvento del nuovo film, e un'attrice che invece comincia la sua ascesa proprio nel mondo del sonoro.



Sara


* “Not even the greatest writer, the most consummate artist of the pen, could tell in words what Asta Nielsen tells with her face in close-up” (traduzione mia, e un po' libera...)

Wednesday, 7 December 2011

tangram uno

E con un bianchetto ho iniziato a sbianchettare la riga, al di sopra dell'asta di metallo della macchina da scrivere. L'ho fatto come una modella che maneggia lo smalto, o una cinquantenne curata, perché il boccettino era proprio simile. Col pennello, voglio dire, e la cannuccia di plastica che sempre s'incrosta, e ricorda imbianchini e muri fatti di fresco- con il conseguente abbondare sparso di secchi di plastica incrostati e di odore misto sigaretta-gomma-acrilico. È un odore fresco, da autunno o da marzo, come una piscina all'ombra di mattina, ancora deserta. Pulito e freddo insieme,.
La riga era sbagliata, avevo sbagliato tutte le parole, e dire che saranno state cinque o sei in tutto: ma oggi mi sembrano sbagliate anche le virgole. Sulla destra c'è una scatoletta di mentine, un cilindro basso bianco e nero che ruota su se stesso per sputar fuori il pezzo di liquirizia glassata. Da piccolo li smontavo sempre, questi cosi.
Oh, e c'è anche un pupazzetto rosso, credo che fosse qualcosa da un film anni '80, ma davvero ora..
E un trattopen, nero. Tempo fa ne ho visto uno con i cerchietti disegnati sopra. Compratelo per i vostri bambini, gli servirà nell'ora di religione. Religione trattopen rosa. Disegnate maiali e colorate le fotocopie.
La luce è elettrica e gialla, e così bassa da creare una linea d'ombra decisamente curva e decisamente vicina. Ma non è fastidiosa, guardo il passaggio non graduale luce-ombra, le sfumature calde che si impossessano dell'interregno. Sedie di metallo nere.
E invece no, non c'è nessuna macchina da scrivere e non sto scrivendo, sono sul pavimento in una stanza bianca dai soffitti alti. Il cielo oggi è azzurrissimo ma fa freddo, e il sole corre veloce sul pavimento. Sei, otto rettangoli- i vetri con il legno. La luce è molto bella, si riflette e da' vita a strane rifrazioni che sanno di già visto. Io sto qui, la stanza è vuota, non ho fame e non ho sonno, solo un po' di freddo, guardo l'azzurro fuori.
E invece no, è notte fuori ed è notte dentro, la stanza è un miscuglio di luci rosse e verdi e solo il freddo rimane. Fa freddo, si, e io tremo in una maglia non abbastanza spessa. In questo momento nelle case gli alieni fanno ginnastica, fanno flessioni, le donne si danno lo smalto, qualcuno scriverà a macchina. Esistono ancora le macchine da scrivere? Certo. Con i loro nastri neri e rossi, per scrivere in nero e in rosso, nastri che però sono strani: ruvidi e lassi, sembrano fettucce da merceria.
Guardo la luce rossa cercando calore, e invece tremo ancora. I muscoli fanno dei balletti strani, si contraggono a regioni preordinate; ma se davanti il risultato è un pareggio stentato, la schiena pizzica per il freddo anche se continua a guizzare.
Là fuori gli imbianchini staranno lavorando alle loro pareti, e le donne avranno finito con lo smalto. Lasceranno i loro specchi bordati di bulbi accesi e con noncuranza passeranno tra paralumi rossi e cavi stesi sul pavimento.
Vorrei i rettangoli per terra, ma non ci sono.

UM
(originariamente comparso qui)

Saturday, 3 December 2011

Un oggetto minaccioso


In questa foto si notano le caratteristiche che lo avvicinano alla Mantide Religiosa.

È qualche giorno che siedo davanti al computer per lavoro e non sono tranquillo. C'è qualcosa vicino a me che diffonde inquietudine. Mi sento osservato e hai voglia a far finta di niente e continuare a battere alla tastiera! Non si può restargli indifferenti.

 

Nel suo habitat naturale, vicino ai consueti compagni:
dei fogli di carta e una penna a sfera.
Allora rallento, il digitare si fa più pacato e distratto. Con la coda dell'occhio provo a scorgere cosa si trovi vicino a me.
D'un tratto mi rendo conto! Sebbene, a dir la verità, non so che nome abbia.





Libero di scorrazzare sul banco bianco.

Qualcuno ha lasciato sulla scrivania posta di lato, tra una risma e una penna a sfera, un “vanifica-spillatrice”, ovvero una di quelle piccole pinze con quattro denti a mo' di zanna o artiglio che servono per allentare la presa delle graffette sui fogli di carta.

In seguito ho scoperto che questo strumento si chiama “levapunti”, ma a dispetto del suo nome dal bel solfeggio resta un oggetto proprio sgraziato, poveretto. Anche se a me non ha mai fatto niente.


                                                                                                               N.D.