Sunday, 9 March 2014

Il corpo del nemico

Borneo Headhunters, source: www.liveauctioneers.com/item/5235160
Risalendo il fiume Congo, la spedizione di Marlow percepisce la presenza dei guerrieri indigeni in agguato lungo le sponde. Il congolese Mafumo sa che si tratta di cannibali intenzionati a catturare almeno uno tra loro per mangiarselo. Al ché, per darsi forza, Mafumo tira fuori da un borsello un frammento osseo che si infila in un foro praticato nel suo volto, sulla parte destra del mento.

Nonostante questa precauzione, l’insidia si fa sempre più incalzante e Mafumo perde presto la fiducia nel suo amuleto che d’un tratto si sfila dalla cute del viso per gettarlo nel fiume dicendo : il mio nemico sta ridendo di me.. il mio nemico non mi protegge più… Addio!

Il borsello che Mafumo si porta dietro infatti, è pieno dei frammenti ossei e dei denti di un acerrimo nemico che egli è riuscito ad uccidere dopo aver vinto la sua grande forza. Ora, tenersi vicino i residui del corpo dell’avversario dovrebbe implicare la vicinanza e la protezione da parte del suo spirito.

La delusione di Mafumo nel constatare l’inefficacia di questo metodo è cocente, ma allo stesso tempo è del tutto incomprensibile all’occidentale Marlow che vedendolo reagire così veementemente, senza perdere l’aplomb, gli domanda: Pensi sia stata una buona idea? Ma Mafumo ha la sua soluzione: nel suo borsello infatti ci sono “molti nemici”, un altro osso è quel che serve a ritrovare la sicurezza perduta.

Le scene sinora descritte sono parte dello sceneggiato “Heart of Darnkess” del regista inglese Nicolas Roeg (Marlow e Kurtz sono interpretati da Tim Roth e John Malkovich) il quale sembra aver voluto porre particolare risalto ad un approccio completamente diverso alla dimensione della rivalità da parte dell’uomo indigeno rispetto a quello dell’europeo colonizzatore.

Le immagini che giungono dai conflitti di tutto il mondo, i rovesciamenti di regime, gli attacchi alle minoranze, ma anche la violenza riportata nelle cronache, ci hanno reso in qualche modo “usuale” l’infierire sul corpo del nemico per scherno, umiliazione e annientamento anche simbolico di un ostacolo abbattuto.

Presso molte culture indigene invece la lacerazione del corpo del nemico non si accompagna al rinnegamento del suo valore . Questi viene dilaniato e fatto a pezzi dal rivale per aggiudicarsi la sua forza chiedendo al suo spirito un passaggio di campo che sottintende la realtà del vinto come speculare a quella del vincitore. Il capo della vittima viene imbalsamato, le sue ossa ripulite e rese bianche splendenti, i ciuffi di capelli conservati per farne dei feticci.

Le teste tagliate affisse sui pali all’ingresso dei villaggi dell’antica Taiwan, i crani appesi ai soffitti della capanne degli indigeni del Borneo e quelli penzolanti dalle cavalcature dei celti, avevano sicuramente una carica intimidatoria verso il malintenzionato, ma questa si accompagnava a una motivazione religiosa, ovvero la liberazione dello spirito d’un avversario le cui virtù sono assimilabili da colui che ne ha avuto ragione. Con riti, omaggi e cerimonie adesso si chiede a quegli stessi spiriti di passare dalla propria parte.

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