Wednesday, 29 February 2012

Turner e la scoperta di una nuova luce


 Come spesso accade per i personaggi che lasciano il loro nome nella storia, anche per il generale romano Marco Attilio Regolo verità e leggenda si fondono assieme.
 Gli episodi che lo resero celebre ebbero luogo durante la prima delle tre guerre puniche (264 – 241 a.C.). Ottenuto il comando dell'esercito romano, Regolo prese possesso di Cartagine nel 256 a.C., imponendo però delle condizioni di pace talmente pesanti da provocare un forte contrattacco cartaginese. Sotto la guida dell'abile stratega spartano Santippo, gli sconfitti riuscirono infatti a vincere Regolo nella battaglia di Tunisi, in seguito alla quale, il comandante romano venne fatto prigioniero. Ora, la leggenda narra che Regolo venne inviato a Roma per convincere i suoi concittadini alla pace con Cartagine con la condizione che, nel caso di un loro rifiuto, egli fosse rimandato a Cartagine e condannato a morte.
 Deciso a voler attaccare la città nemica, che egli sapeva ora indebolita economicamente e politicamente, Regolo incitò i romani ad un nuovo attacco, violando quindi l'accordo. Fece poi ritorno a Cartagine dove, prima di essere giustiziato, gli vennero inflitte terribili torture, tra le quali l'abbacinamento, l'esposizione forzata al sole dopo aver subito il taglio delle palpebre, che lo portò alla cecità.
É proprio su questi particolari che l'equilibrio tra verità e fantasia si perde per lasciare spazio solamente a quest'ultima, alimentando così l'immaginazione dei posteri e contribuendo a costruire un'immagine leggendaria del personaggio storico, che resisterà al passare del tempo e delle ere.

 Si può quindi comprendere l'enorme salto nel tempo che sto per fare, e che ci porta nel XIX secolo, prima in Italia, poi in Inghilterra. Fu infatti a Roma, nel 1828, che il grande pittore inglese J. M. W. Turner (1775 – 1851) presentò per la prima volta Regulus, una tela dedicata precisamente alla leggenda del generale romano, successivamente completata ed esposta a Londra quasi dieci anni dopo, nel 1837.
Non era affatto inusuale per l'epoca la scelta di rappresentare un episodio dell'antichità, ciò che invece è estremamente originale è il modo in cui esso viene raccontato. Regolo, soggetto della rappresentazione, non vi compare.



J. M. W. Turner, Regulus (1828 - 1837), Londra, Tate Gallery



 Il dipinto raffigura il porto di Cartagine pervaso da un immenso raggio di sole che lascia lo spettatore, posto allo stesso punto di vista della vittima, immobile e stupito di fronte alla forza della luce. É lei, infatti, la protagonista indiscussa della tela.
Una luce che lo stesso Turner scoprì durante il suo secondo Grand Tour europeo che, attraverso Francia e Svizzera lo portò in Italia. Un Tour che, a causa degli impedimenti legati alle guerre napoleoniche, che rendevano complicato e pericoloso un tale viaggio, il pittore dovette posticipare al 1820, quand'egli era ormai quarantacinquenne. La scoperta di una luminosità diversa, che Turner non poteva trovare nei cieli inglesi, lo lasciò abbacinato tanto quanto il protagonista della sua tela, dando spazio ad un nuovo approccio pittorico incentrato sul binomio indivisibile luce – colore. Come commentò il critico d'arte John Ruskin, grande sostenitore di Turner, “[...] il cambio fu totale. Da quel momento in poi, ogni soggetto venne concepito principalmente come colore”*.
E fu questa fascinazione che gli valse, appunto, l'appellativo di pittore della luce.

 Nato nel 1775, Turner era figlio di una tradizione artistica legata ancora alle dottrine illuministe, cui il suo talento però andava oltre. La sua opera, quindi, venne apprezzata dai suoi contemporanei solamente verso il finire della carriera. E fu solo dopo la sua morte che l'influenza di Turner nel mondo della pittura diventò evidente. É nota infatti l'importanza che egli ebbe sul gruppo degli Impressionisti, sviluppatosi durante gli anni '70 del 1800, la cui poetica si basava proprio sul voler rappresentare la realtà dando conto delle innumerevoli variazioni di luce, colore e movimento proprie di ogni singolo istante.
 L'intuizione di Turner riprendeva vita quindi quasi un secolo dopo e ritrovava senso anche in una delle grandi invenzioni dell'era moderna, la fotografia, cui non a caso lo stesso movimento impressionista si legava. Per la prima volta, un medium che non fosse la mano del pittore riusciva a catturare la luce.



Sara


* “[...] the change was total. Every subject thenceforward was primarly conceived in colour.” (Ruskin, Collected Works, 12:357; traduzione italiana mia)

Wednesday, 22 February 2012

Conferme sul tempo perso




Ogni tanto succede di ricevere delle conferme. Capita, ad esempio, quando si commette lo stesso errore per la millesima volta perché non si è mai riusciti a venire a capo di un difetto che ci si conosce bene e si è sempre avuto cura di trascurare. In altri momenti invece, può avvenire mentre si legge un libro e in poche righe si ritrova un dettaglio sul reale che ci si porta dietro sin dall'infanzia, una sorta di convinzione mai esplicitamente espressa eppure fondamentale. Si schiude allora da qualche parte una compressa di silenzioso compiacimento, che porta ad immaginarsi di chiacchierare amabilmente con l'autore di quelle frasi sotto il segno di una dichiarata fratellanza di spiriti.

Recentemente ho letto un passaggio che ho accolto come una grande conferma su un tema a me molto caro, il tempo perso. Con questo intendo il tempo necessario, notevole, che serve al compimento di quelle esperienze che si hanno solamente per il fatto di esser-ci. Quando si rinuncia del tutto ad ogni pretesa di volontà e si diventa assolutamente entità che assiste, come in un viaggio le ore trascorse a guardare dal finestrino o nella sala d'aspetto ad osservare di sottecchi le persone vicino, sedute o in piedi, buttando di quando in quando l'occhio sulle riviste e i giornali.

Bene, alla prima pagina di “Cattivi Pensieri” edito da Adelphi, Paul Valéry riporta con la saggezza che posseggono coloro che anticipano le prime luci dell'alba per destarsi e mettersi a scrivere: 

Ricordati che ogni mente è plasmata dalle esperienze più banali. Dire che un fatto è banale significa dire che è fra quelli che più hanno contribuito alla formazione delle tue idee essenziali. Nella composizione della tua sostanza mentale più del 99% è costituito da immagini e impressioni senza valore. Aggiungi poi che le concezioni inusuali, i pensieri nuovi e singolari traggono tutto il loro valore da questo fondo volgare che li fa risaltare.


                                                          Nicco.

Sunday, 5 February 2012

Punto Nave #2

A quasi otto mesi dalla nascita di questo blog, è arrivato il momento di fare un altro breve punto sulla sua situazione. Dopo un inizio euforico e pieno di aspirazioni, circoloMarlow sta facendo suo un ritmo più pacato, ma forse a lui naturale nel dispiegare al meglio i rami delle riflessioni che contiene.

L'unico progetto dietro la sua creazione è stato quello di essere un luogo dove scambiarsi storie e guardare alle cose, anche le più semplici, sotto l'arco di uno sguardo inusuale. Grazie a Sara, Alice ed Umberto mi sento di affermare che circoloMarlow si sta rivelando all'altezza di questa idea.

A otto mesi dal primo post, circoloMarlow è diventato per me un compagno a cui depositare scoperte in momenti di piena e fonte di ispirazione quando invece c'è aridità. Aridità che, ho imparato, può cogliere in alto mare, ma che nulla incrementa in maggior misura dell'incessante quantità di informazioni in cui mi sento immerso quando sto a terra: a volte l'orizzonte primordiale delle onde, senza scampoli rocciosi in vista, è molto simile per armonia ad un giardino isolato, dove la mente si ristora.

Tra un giorno e mezzo ho un volo per Sydney, dove imbarcherò per il mio secondo contratto. Ringrazio ancora una volta tutti i lettori, chi lascia due parole e chi ha la gentilezza di scambiare un link con circoloMarlow. In particolare rivolgo un caloroso saluto a Nella di Rock Music Space e a Maria di Mari da Solcare.

Che possiate tornare spesso in questo angolo di giardino, accessibile con un wi-fi.




                                                        Niccolò.  

Wednesday, 1 February 2012

Brocca a forma di testa, 1889.

Van Gogh, Gauguin e la genesi di un autoritratto.
Brocca a forma di testa, Paul Gauguin 1889


Van Gogh voleva di tutto cuore che il suo amico Gauguin lo raggiungesse nel Sud della Francia dove da qualche tempo si era stabilito per studiare una natura che non gli era familiare, pur tra molte ristrettezze. Ulivi, campi di grano e cipressi brillavano alla luce di un sole mediterraneo a lui ugualmente inusuale e di cui voleva condividere la scoperta dando vita ad un sodalizio artistico.

E di questo suo desiderio c'è traccia in molte sue lettere indirizzate sia al fratello Théo che allo stesso pittore francese:


Caro Théo,
ho pensato a Gauguin: se Gauguin vuole venire qui, c'è da pensare al viaggio o a due letti o a due materassi, che in questo caso dobbiamo acquistare.Ma dopo, essendo Gauguin un tipo che si arrangia, è probabile che riusciamo a farci da mangiare a casa.E con la stessa somma che spendo per me , riusciremo a vivere in due.Sai che mi è sempre sembrato stupido che i pittori vivano soli ecc. Quando si è isolati si perde sempre. [...] *

                  * Vincent Van Gogh, 150 lettere
                            ed. Linea d'Ombra 2011, p.263



Finalmente, un giorno di dicembre del 1888 Gauguin si recò nella cittadina provenzale di Arles. Sciaguratamente però, sarà stata forse l'incompatibilità dei caratteri, il suo soggiorno presso il pittore fiammingo si trasformò in un periodo di nove settimane di fuoco e delirio in cui le due grandi sensibilità riunite ed isolate sotto lo stesso tetto arrivarono sino al fronteggiarsi con un rasoio. Lo stesso oggetto con cui, dopo averne brandito la lama minacciosamente per aria, Van Gogh mise in atto il famoso episodio ove, senza alcun motivo apparente, si tagliò il lobo dell'orecchio sinistro. Con il sangue che gli sgorgava copiosamente sul collo, avviluppò poi il pezzetto di carne in dei fogli di giornale e corse al postribolo presso il quale -quando le finanze glielo permettevano- era solito trovare sollievo, per affidarlo alle mani di una prostituta non prima di assicurarsi che venisse trattato con tutte le cure.

Quando Paul Gauguin vide Van Gogh rincasare con la testa insanguinata, prese una paura tale da fargli vacillare le fondamenta di un qualcosa che nell'anima sta tra l'orgoglio, la comprensione e il coraggio. Fu probabilmente per vincere i morsi di questo timore che, ritornato a Parigi qualche giorno dopo, Gauguin volle assistere all'esecuzione in piazza di Prado, vecchio proprietario del caffè degli artisti Le Tambourin, condannato alla ghigliottina per omicidio.

Solo che anche l'esecuzione non andò come doveva andare: la lama cadde di sbieco e in prima battuta mutilò soltanto una parte del volto dell'uomo che con forza bestiale si trasse nuovamente in piedi. Ci volle lo sforzo di parecchie guardie per rimetterlo in posizione e permettere che lama fosse rilasciata una seconda volta provocando infine la caduta della testa di Prado.

Non sappiamo se Gauguin, ritrovò ciò che cercava, ma in seguito a questi avvenimenti scolpì la Brocca a Forma di Testa, un autoritratto in porcellana del 1889 conservato al Kunstindustrimuseet di Copenhagen.

Un'opera che fonde lo stile giapponese di pittura e lavorazione della ceramica invetriata con un concetto di raffigurazione appartenente alla tradizione peruviana -ovvero l'unione della forma umana e quella di un oggetto quotidiano- e non lascia trasparire in fotografia, la forza macabra che è capace di convogliare dal vivo.  




                                                   Niccolò.