Come spesso accade per i
personaggi che lasciano il loro nome nella storia, anche per il
generale romano Marco Attilio Regolo verità e leggenda si fondono
assieme.
Gli episodi che lo resero
celebre ebbero luogo durante la prima delle tre guerre puniche (264 –
241 a.C.). Ottenuto il comando dell'esercito romano, Regolo prese
possesso di Cartagine nel 256 a.C., imponendo però delle condizioni
di pace talmente pesanti da provocare un forte contrattacco
cartaginese. Sotto la guida dell'abile stratega spartano Santippo,
gli sconfitti riuscirono infatti a vincere Regolo nella battaglia di
Tunisi, in seguito alla quale, il comandante romano venne fatto
prigioniero. Ora, la leggenda narra che Regolo venne inviato a Roma
per convincere i suoi concittadini alla pace con Cartagine con la
condizione che, nel caso di un loro rifiuto, egli fosse rimandato a
Cartagine e condannato a morte.
Deciso a voler attaccare
la città nemica, che egli sapeva ora indebolita economicamente e
politicamente, Regolo incitò i romani ad un nuovo attacco, violando
quindi l'accordo. Fece poi ritorno a Cartagine dove, prima di essere
giustiziato, gli vennero inflitte terribili torture, tra le quali
l'abbacinamento, l'esposizione forzata al sole dopo aver subito il
taglio delle palpebre, che lo portò alla cecità.
É proprio su questi
particolari che l'equilibrio tra verità e fantasia si perde per
lasciare spazio solamente a quest'ultima, alimentando così
l'immaginazione dei posteri e contribuendo a costruire un'immagine
leggendaria del personaggio storico, che resisterà al passare del
tempo e delle ere.
Si può quindi
comprendere l'enorme salto nel tempo che sto per fare, e che ci porta
nel XIX secolo, prima in Italia, poi in Inghilterra. Fu infatti a
Roma, nel 1828, che il grande pittore inglese J. M. W. Turner (1775 –
1851) presentò per la prima volta Regulus, una tela dedicata
precisamente alla leggenda del generale romano, successivamente
completata ed esposta a Londra quasi dieci anni dopo, nel 1837.
Non era affatto inusuale
per l'epoca la scelta di rappresentare un episodio dell'antichità,
ciò che invece è estremamente originale è il modo in cui esso
viene raccontato. Regolo, soggetto della rappresentazione, non vi
compare.
J. M. W. Turner, Regulus (1828 - 1837), Londra, Tate Gallery |
Il dipinto raffigura il
porto di Cartagine pervaso da un immenso raggio di sole che lascia lo
spettatore, posto allo stesso punto di vista della vittima, immobile
e stupito di fronte alla forza della luce. É lei, infatti, la
protagonista indiscussa della tela.
Una luce che lo stesso
Turner scoprì durante il suo secondo Grand Tour europeo che,
attraverso Francia e Svizzera lo portò in Italia. Un Tour che, a
causa degli impedimenti legati alle guerre napoleoniche, che
rendevano complicato e pericoloso un tale viaggio, il pittore dovette
posticipare al 1820, quand'egli era ormai quarantacinquenne. La
scoperta di una luminosità diversa, che Turner non poteva trovare
nei cieli inglesi, lo lasciò abbacinato tanto quanto il protagonista
della sua tela, dando spazio ad un nuovo approccio pittorico
incentrato sul binomio indivisibile luce – colore. Come commentò
il critico d'arte John Ruskin, grande sostenitore di Turner, “[...]
il cambio fu totale. Da quel momento in poi, ogni soggetto venne
concepito principalmente come colore”*.
E fu questa fascinazione
che gli valse, appunto, l'appellativo di pittore della luce.
Nato nel 1775, Turner era
figlio di una tradizione artistica legata ancora alle dottrine
illuministe, cui il suo talento però andava oltre. La sua opera,
quindi, venne apprezzata dai suoi contemporanei solamente verso il
finire della carriera. E fu solo dopo la sua morte che l'influenza di
Turner nel mondo della pittura diventò evidente. É nota infatti
l'importanza che egli ebbe sul gruppo degli Impressionisti,
sviluppatosi durante gli anni '70 del 1800, la cui poetica si basava
proprio sul voler rappresentare la realtà dando conto delle
innumerevoli variazioni di luce, colore e movimento proprie di ogni
singolo istante.
L'intuizione di Turner
riprendeva vita quindi quasi un secolo dopo e ritrovava senso anche
in una delle grandi invenzioni dell'era moderna, la fotografia, cui
non a caso lo stesso movimento impressionista si legava. Per la prima
volta, un medium che non fosse la mano del pittore riusciva a
catturare la luce.
Sara
* “[...] the change was
total. Every subject thenceforward was primarly conceived in colour.”
(Ruskin, Collected Works, 12:357; traduzione italiana mia)