Thursday, 27 February 2014

On the weakest side: the poetry of Jean Vigo

There, where fairy tales end, begins the story of Jean and Juliette. On leaving the church, the newly-wed couple embarks for their honeymoon on board the motor barge Atalante. Together with Jean, captain of the boat, and Juliette, there are Pére Jules, an old and eccentric mariner covered with tattoos and with a passion for cats, and a young hand. It´s the opening scene of the only feature film realised by Jean Vigo, L´Atalante (1935).

"He focused his lens only on the real and transformed it into fairy tales", claimed Truffaut about the young director, who died at 29, precisely during the shooting of that which would have become one of the great cinema masterpieces, and not only in France.


What strikes the most is undoubtedly the sincerity and simplicity of this “small subject”, which tells about the passion of a young couple and about the difficulties of the first moments of a life to be spent together.
Happiness and enthusiasm are soon replaced by the difficulties Julliette encounters in adapting to the life on board the barge. After a quarrel with Jean, and attracted by the much more stimulating and interesting allure of the city, the young woman leaves the Atalante.


Touching and at the same time intensely sensual, is the scene in which Jean – in his bed on board his boat – and Juliette – in a hotel room several kilometers away – realise the sentiment and feeling that bind them together, of which the sudden absence has deprived them of.



Vigo´s narration combines two of the major cinematic tendencies of the first decades of the 20th century, namely realism and aestheticism, thereby contributing to the popularity of what would be known as poetic realism.
Jean lived a troubled childhood, marked by the absence of his parents, Miguel Almereyda* and Emily Clero, sixth of five brothers born from a former relationship and all dead at a very young age, educated in a boarding school, ill since he was a kid. The only inheritance he was left with had been his paternal grandfather´s motto “I protect the weakest!” that Jean didn´t hesitate to put into practice in his short but brilliant career**.
Before L´Atalante he had realised the two short films À propos de Nice (1930) and Zéro de conduite (1933), both characterised by his peculiar sperimentalism, which would be fully represented precisely in L´Atalante.




If you can keep your eyes open under water, you will be able to see your beloved one…

Jean dives in the canal, crazy for love, hoping to meet his Juliette. It´s the well-known underwater scene, in which he sees the young woman, laughing, in her bride dress.
Eventually Juliette will be found by Pére Jules and, once back on board, will finally hug her beloved Jean. Now this story can end, just as in fairy tales.



Sara


* His real name was Miguel Bonaventura de Vigo, but he changed it in Almereyda because it sounded Spanish, and therefore remembered his andorran origins, and because it contained the letters of the phrase y a la merde! 
**Truffaut François, The Films in my Life, Simon and Schuster, New York, 1978 (original title: Les films dans ma vie, 1975); pp. 24, 25, 26.

Thursday, 20 February 2014

Dalla parte dei più deboli: la poesia di Jean Vigo

Là dove tutte le favole si concludono, inizia la storia di Jean e Juliette. I novelli sposi, all'uscita dalla chiesa, si imbarcano per una luna di miele a bordo della chiatta a motore Atalante. Assieme a Jean, comandante del battello, e Juliette, ci sono a bordo Pére Jules, un vecchio ed eccentrico marinaio ricoperto di tatuaggi e con la passione per i gatti, ed un giovane mozzo.
Si tratta della scena d'apertura dell'unico lungometraggio realizzato da Jean Vigo, L'Atalante (1935).

"Focalizzò la sua lente sulla realtà e la trasformò in fiaba", ebbe a dire Truffaut riguardo il giovane regista, morto a soli 29 anni proprio durante le riprese di quello che diventerà uno dei grandi capolavori del cinema, non solo francese.
Quel che colpisce è senza dubbio la sincerità e la semplicità di questa "piccola storia", che racconta della passione di una giovane coppia e delle difficoltà dei primi momenti di una vita assieme.



La felicità e l'entusiasmo per l'inizio del nuovo viaggio vengono ben presto sostituiti dalla difficoltà per Juliette di adattarsi alla vita a bordo della chiatta; in seguito ad un litigio, la giovane abbandona l'Atalante, attratta dalla ben più stimolante ed interessante aura della città.

Commovente ed allo stesso tempo intensamente sensuale, 
è la sequenza in cui Jean, nel suo letto a bordo della chiatta, 
e Juliette in una camera d'albergo, a chilometri di distanza,
si rendono conto del sentimento e della passione che li lega
e di cui l'improvvisa assenza li ha privati.


Nella sua narrazione Vigo unisce le due maggiori tendenze del cinema dei primi decenni del XX secolo, realista ed estetica, contribuendo in maniera determinante all'affermarsi del realismo poetico.
Figlio degli anarchici militanti Miguel Almereyda1 ed Emily Clero, sesto di cinque fratelli nati da una precedente unione e tutti deceduti molto giovani, Jean visse un'infanzia complicata segnata dall'assenza dei genitori, cresciuto in un collegio, malato fin da piccolo. Unica eredità fu il motto del nonno paterno “Io proteggo i più deboli!”, che Jean mise in pratica nella sua, tanto corta quanto brillante, carriera cinematografica2.
Il lungometraggio L'Atalante venne preceduto dai cortometraggi À propos de Nice (1930) e Zéro de conduite (1933), entrambi caratterizzati dallo sperimentalismo proprio del regista, che però trova piena realizzazione, appunto, ne L'Atalante.



Chi riesce a tenere gli occhi aperti sott'acqua riuscirà a vedere la persona amata

 Jean si tuffa, disperato d'amore, pur di rivedere la sua Juliette. E' la celeberrima scena girata sott'acqua, nella quale la giovane donna appare agli occhi dell'amato, ridendo, in abito da sposa.

Sarà Pére Jules a ritrovare Juliette che, una volta ritornata a bordo della chiatta, potrà finalmente riabbracciare il suo Jean. 
Ora la storia può concludersi come tutte le favole.




Sara





Pseudonimo di Miguel Bonaventure de Vigo, che si scelse questo cognome perché sembrava molto spagnolo, ricordando così le sue radici andorrane, ma anche perché conteneva tutte le lettere della frase: y a la merde!
Truffaut FrançoisThe Films in my Life, Simon and Schuster, New York, 1978 (titolo originale: Les films dans ma vie, 1975) pp. 24, 25, 26 -  traduzione italiana mia.  

Saturday, 15 February 2014

Le Femmine di Drago

 ..e la partenogenesi.



Le femmine di drago di Komodo possono deporre uova in grado di schiudersi senza contributo da parte maschile attraverso il fenomeno denominato partenogenesi. Questo tipo di riproduzione asessuata è stata riscontrata in femmine tenute in cattività lontane da individui maschi per anni, se non addirittura per tutta la vita.

I draghi di Komodo sono enormi varani endemici di alcune isole dell’Indonesia centrale, la cui lunghezza può arrivare sino a 3 metri. Molto probabilmente la partenogenesi è per loro l’ultima soluzione atta a preservare la specie in estreme condizioni di isolamento. Queste si possono verificare in natura per l’effetto di una tempesta o delle forti correnti marine presenti nell’area che possono allontanare i varani in nuoto dai loro luoghi originari e trasportarli su territori non popolati.

La riproduzione priva di fertilizzazione delle uova può portare alla nascita solo di individui di sesso maschile a causa di un meccanismo genetico. Le femmine recano i cromosomi ZW e uno tra Z e W si trova di base in tutte le uova. In seguito, per l’apporto genetico soltanto da parte di madre, la combinazione cromosomica delle uova sarà o quella maschile ZZ oppure WW, che però non porterà alla vita. Ovviamente, questo metodo di procreazione non è salutare per la specie, tuttavia i nuovi nati avranno uno sviluppo normale e saranno in grado di accoppiarsi a loro volta.

La partenogenesi è rara nei vertebrati, ma è stata osservata nei serpenti, nei pesci e perfino fra i tacchini. Il suo ripetuto rinvenimento fra i draghi di Komodo ha portato a riconsiderala si come una risorsa straordinaria, ma “non così eccezionale” almeno per certe specie.

Wednesday, 12 February 2014

What Female Dragons can do.


The females of Komodo dragons can give birth to baby lizards without previous contact with males. This kind of asexual reproduction is called parthenogenesis and has been observed in females kept in captivity without any relations with opposite sex individuals for years, if not for all their life.

Komodo dragons are huge monitor lizards – up to 3 meters length- who live only in a few islands of central Indonesia. Most probably parthenogenesis could be for them the only solution to continue the species under extreme condition of isolation. In nature that can happen due to a storm which can lead astray a single varanus while swimming from island to island. Strong marine currents present in the area, could also carry the dragon far away from its group to an unpopulated territory.

The reproduction without fertilization of the egg can give birth only to male individuals because of genetic combinations. Females have chromosome ZW and all the eggs carry one chromosome, W or Z. Their union will give the male combination ZZ or WW. Eggs with the latter sequence are not going to hatch. Certainly, this way of procreating is not very healthy for the species being the genetic make-up derived only from one parent, but the offspring will grow normally and will be able to mate.

Parthenogenesis is very rare in vertebrates, but has been observed in snakes, fishes and even turkeys. Nevertheless, its discovery among Komodo dragons has been the reason to reconsider it as “not so exceptional”.

Monday, 10 February 2014

Toni Bruna, Formigole - english version

"Percorso artistico? Mi cominceria col dir che no son un artista... diria percorso creativo... xè comincià da subito, da quando che go memoria”

[My artistic path? To begin with, I'd say that I'm not an artist... creative path, I'd say... it started from the very beginning, since I can recall memories at all]


Toni Bruna doesn't seem to like definitions or labelling: artist, poet, singer, dialectal songwriter.
The instruments he makes use of for his musical creations, doubtlessly own much to the city he lives in, Trieste, a city clutched between the carso* and the sea. In fact, in his album Formigole (2011), one can find stories, impressions, faces, well-known places as well as forgotten corners of the city, but also the power of the natural elements and the solidity of the ground.
And just as the urban dimension fuses with the rural one, in the lyrics of his songs spiritual elements and more earthly ones live together. This combination results in images which may not always be clearly defined, but which bear a sharp expressive energy.
Tesounasanta is in my opinion one of the best examples.

tesounasanta
te ardi come el Monte Grisa
te vedo in testa
un'aureola de neon
o me confondo
cola plafoniera
dela cusina

[youareasaint
you glow like Monte Grisa**
I can see over your head
a neon-halo
or maybe I've mistaken it
for the kitchen ceiling-light]



The natural dimension too is of central importance for Toni Bruna. A dimension based upon simple,  but essential elements, which is often necessary to face in order to see with different eyes the complexity of every-day life.  Ants––the formigole which inspire the title of the album––represent a valid basis for comparison, according to the songwriter...



e le formigole
le sburta avanti e indrio le fregole
co le antene le se stuziga
qualche volta le se piziga
ma po' le se vol ben

e noi altri
restemo solo tra de noi, noi altri
qualche volte se misiemo
con quei altri de là
po' se demo pa'l muso
e restemo incazzai
sì, e restemo incazzai.

[ants
they push crumbles to and fro
they pick on each other with their antennae
sometime they tease each other
but they care for each other, eventually

we
we only stay among us, we
we sometimes mingle with those over there
then we hit each other in the face
and we keep getting pissed off
yes, we keep getting pissed off.]


Toni Bruna relies upon the potentialities of that which for him is the “only possible language”, namely the triestine dialect, which doesn't force the creative process within the limits and constraints of a language which is not the “maternal” one. Even in the choice of his means of expression, Toni Bruna wants to detach himself from pre-set categories:
 “no me piasi sta roba delle definizioni: el dialetto, la lingua (…) me piasi più l'idea che la lingua xè una roba che nassi spontaneamente, per la necessità che ga la gente de comunicar (…) no xè che te metterà 'desso la lingua in scatola, no? No te pol, la lingua xè viva e te devi accettar che xè cusì”
[I don't like this whole idea of giving definitions: dialect, language (…) I rather prefer the idea that a language is spontaneously born, from the necessity that people feel to communicate (…) now, you cannot just close the language in a box, can you? No, you can't, a language is something which is alive and one must accept that it is so.]










*The karst
**Mount located in the northern part of the city, on top of which sticks out a sanctuary dedicated to the Virgin Mary, renowned for the unmistakable shape that should ideally recall the letter “M”.

Wednesday, 5 February 2014

Toni Bruna, Formigole.


"Percorso artistico? Mi cominceria col dir che no son un artista... diria percorso creativo... xè comincià da subito, da quando che go memoria”

[Percorso artistico? Comincerei col dire che non sono un artista... direi percorso creativo... è cominciato da subito, da quando ho memoria]


Toni Bruna non sembra amare le definizioni né le etichette: artista, poeta, cantante, cantautore dialettale.
Gli strumenti di cui si serve per le sue creazioni musicali devono senza dubbio molto alla sua città d'origine, Trieste, stretta fra il carso ed il mare. Nell'album Formigole (2011) si trovano infatti storie, impressioni, volti, luoghi ben precisi ed angoli dimenticati della città, ma vi giocano un ruolo centrale anche la forza degli elementi naturali, il fascino del mare, la concretezza della terra.
E così come la realtà urbana si fonde con quella rurale, nei testi delle sue canzoni convivono elementi spirituali con elementi decisamente terreni. Ne risultano immagini dai contorni forse non sempre definiti, ma con una decisa carica espressiva.
Tesounasanta è a mio avviso uno dei migliori esempi.

tesounasanta
te ardi come el Monte Grisa
te vedo in testa
un'aureola de neon
o me confondo
cola plafoniera
dela cusina

[seiunasanta
ardi come il Monte Grisa*
ti vedo in testa
un'aureola di neon
o mi confondo
con la plafoniera
della cucina]


Anche la dimensione naturale è, quindi, di centrale importanza per Toni Bruna. Una dimensione basata su elementi semplici, ma essenziali, con cui spesso è necessario confrontarsi per poter vedere con occhi diversi la complessità del quotidiano. Le formiche, o formigole, che danno il titolo all'album, costituiscono per il cantautore un valido metro di paragone...


e le formigole
le sburta avanti e indrio le fregole
co le antene le se stuziga
qualche volte le se piziga
ma po' le se vol ben

e noi altri
restemo solo tra de noi, noi altri
qualche volte se misiemo
con quei altri de là
po' se demo pa'l muso
e restemo incazzai
sì, e restemo incazzai.

 [e le formiche
spingono avanti e indietro le briciole
con le antenne si stuzzicano
qualche volta si pizzicano
ma poi si vogliono bene

e noi
restiamo solo tra di noi, noi
qualche volta ci immischiamo
con quelli dall'altra parte
poi ci meniamo
e rimaniamo incazzati
sì, rimaniamo incazzati.]

Toni Bruna si affida alle sonorità di quella che per lui è “l'unica lingua possibile”, ovvero il dialetto triestino, che non costringe il processo creativo entro i limiti e le restrizioni di una lingua che non sia quella “madre”. Anche nella scelta del mezzo di espressione, infatti, Toni Bruna prende le distanze da categorie prestabilite: 

“no me piasi sta roba delle definizioni: el dialeto, la lingua (…) me piasi più l'idea che la lingua xè una roba che nassi spontaneamente, per la necessità che ga la gente de comunicar (…) no xè che te metterà 'desso la lingua in scatola, no? No te pol, la lingua xè viva e te devi accettar che xè cusì”
[Non mi piace questa cosa delle definizioni: il dialetto, la lingua (…) Mi piace più l'idea che la lingua sia qualcosa che nasce spontaneamente, dalla necessità che ha la gente di comunicare (…) Ora, non è che si possa mettere la lingua in scatola, no? Non si può, la lingua è viva e bisogna accettare che è così]

Copertina dell´album Formigole
(www.tonibruna.com)

Toni Bruna in rete:


Buon ascolto!
Sara









*Monte a nord della città di Trieste, sul quale si trova un santuario dedicato alla Madonna, noto per la sua inconfondibile forma che dovrebbe idealmente evocare la lettera “M”.